Traduzione del libro “Running is my therapy” per Macro Edizioni.
L’introduzione del libro “Correre è la mia Terapia” di Scott Douglas
Quasi ogni martedì, esco a correre molto presto al mattino insieme a un’amica di nome Meredith. Per essere così tanto amici, devo ammettere che siamo piuttosto diversi l’uno dall’altra.
Meredith è un’assistente sociale che sta bene nella folla e attinge energie dal gruppo. Io sono uno scrittore e un editor introverso che lavora da casa.
Meredith dà il meglio di sé nelle gare più affollate e adora allenarsi insieme a gruppi numerosi. Io ho registrato i miei personal best in prove in solitaria e tendo a rinunciare a uscite che prevedono più di cinque persone.
Meredith è una che si agita facilmente, sempre angosciata da rimpianti e preoccupazioni, in terapia per l’ansia. Io soffro di distimia, una forma cronica di depressione minore.
Ci divertiamo a scherzare su queste differenze: su Meredith che sta in piedi fino a tardi per evitare il giorno successivo ed io che vado a letto prestissimo nella speranza che il giorno dopo sia quello giusto.
Eppure abbiamo in comune una cosa fondamentale: entrambi corriamo soprattutto per la nostra salute mentale.
Fin da ragazzi, ci siamo aggrappati alla corsa per cercare di tessere la trama della nostra vita: amicizie, matrimoni, carriera, ogni strategia per provare ad alleviare il nostro disagio. Certo, le gare erano un incentivo, come il piacere stesso di correre e la consapevolezza di essere fisicamente in perfetta forma, ma ciò che ci spingeva a
completare i nostri settantacinque minuti di allenamento prima del lavoro era essenzialmente la sensazione finale. Come se avessimo premuto il tasto reset e potessimo affrontare meglio il resto della giornata.
Sentirsi di buonumore dopo aver concluso una corsa è un’esperienza praticamente universale. È una sensazione talmente comune che trovi in giro t-shirt e tazze con la scritta “Correre è la mia terapia”. Sono in molti quelli che mettono in cima alla lista delle buone ragioni per correre i suoi benefici psicologici. Per quelli come noi che soffrono di depressione o ansia, tuttavia, il rapporto con l’aspetto mentale dello sport è più profondo. Per noi, i benefici della corsa sul cervello sono paragonabili a quelli che possono avere sul cuore coloro che hanno disturbi cardiaci.
Gli incentivi quotidiani sono sempre i benvenuti, ma il quadro completo è un po’ più complesso. Gli esperti stanno ancora cercando una spiegazione al fenomeno vissuto da me, Meredith e milioni di altre persone: se non corriamo regolarmente, il nostro equilibrio mentale crolla.
Mi hanno diagnosticato la distimia nel 1995, appena compiuti trent’anni, ma quello che quel giorno cercavo di descrivere allo psichiatra era sempre stata una presenza costante nella mia vita, fin da ragazzo. A partire dalle scuole medie, il disagio che provavo da bambino si era cristallizzato in quelli che iniziavo a percepire come tratti distintivi della mia personalità: un lieve disappunto nei confronti della vita, che elargiva così pochi piaceri in confronto alla fatica richiesta per procurarseli, una certa difficoltà nel trovare un senso agli avvenimenti e alle relazioni e, infine, la tendenza a dover mobilitare tutte le mie energie fisiche e mentali semplicemente per far fronte agli impegni quotidiani.
Scoprire la corsa subito dopo la comparsa di questi sintomi è stata una delle più grandi benedizioni della mia vita. Nella primavera del 1979, mentre frequentavo il nono anno, iniziai ad allenarmi per la gara scolastica di corsa campestre in programma per l’autunno successivo. Fu amore a prima vista. Correre era la prima cosa in assoluto che riusciva a combinare insieme un piacere quotidiano e la sensazione di impegnarsi per qualcosa di sensato.
C’è voluto un po’ di tempo perché riuscissi ad apprezzare e capire davvero quanto incidesse davvero sulla mia vita, attraverso il suo influsso sulla mia salute mentale. La depressione, all’epoca, non era un argomento di cui si parlava apertamente. Era vista come una sorta di disabilità; da studente modello che macinava almeno cento chilometri di corsa alla settimana, non mi rivedevo proprio in quella descrizione. Per molti anni ho proseguito sulla mia strada e continuato a correre e correre, perché la corsa era quasi sempre il momento migliore della mia giornata e perché sentivo che era la mia storia.
In quegli anni riuscii a inserirmi nel mondo del giornalismo specializzato. Dall’inizio degli anni ’90 a oggi, ho scritto centinaia di articoli, soprattutto per Runner’s World e l’ormai scomparsa Running Times, ho ricoperto ruoli editoriali per entrambe le pubblicazioni e scritto o collaborato alla stesura di numerosi libri sulla corsa. Vivere immerso in questo settore significa anche leggere o quantomeno essere a conoscenza di qualsiasi cosa si scriva sulla corsa. Anno dopo anno, mi aspettavo che prima o poi qualcuno si sarebbe deciso a scrivere un libro sulla corsa e i disagi mentali, dalla prospettiva di chi corre. Ma non accadde. Il mondo della corsa continuava ad ignorare i problemi psicologici. Piuttosto strano, vista la franchezza con cui i runner sanno parlare tra loro di qualsiasi funzione corporea.
Così, decisi di scrivere io stesso il libro. Sarà un libro, mi dissi, che dovrà riuscire finalmente a spiegare cosa significa “correre è la mia terapia”. Mi riproposi anche di scriverlo in modo che fosse interessante e utile per i runner di qualsiasi livello. Perché dal mio punto di vista, se corri sei un runner. Punto. Non esistono soglie minime di chilometri settimanali, passo od obiettivo per considerarti un vero “runner”. Anche se in questo libro troverai molti esempi di distanze e intensità, si tratta, appunto, solo di esempi tratti dall’esperienza personale, non di ricette. Non avrai difficoltà a ricalibrarli sulle tue caratteristiche individuali. Per essere un runner, ripeto, l’unico requisito è correre.
Stabilito questo, molti dei benefici psicologici che andremo a esplorare in questo libro si possono ottenere solo correndo con regolarità. Una media di due allenamenti alla settimana è già una soglia ragionevole e fattibile per raggiungere una forma fisica sufficiente per correre senza troppa fatica. Se il tuo problema è la costanza, o se sei un runner alle prime armi, ci sono molti libri eccellenti, tra cui The Born Again Runner, di Pete Magill, sui piaceri e i dolori di chi inizia a correre.
Ho sempre pensato che i runner con problemi psicologici abbiano un vantaggio sulle loro controparti sedentarie. Non mi riferisco semplicemente al fatto scontato che, per casualità o per forza di volontà, noi disponiamo già del bonus di un esercizio fisico regolare. Come vedremo, un programma di corsa costante è considerato a tutti gli effetti una terapia a sé stante per alcuni tipi di depressione o ansia. Oggi, sappiamo anche che correre regolarmente induce cambiamenti cerebrali simili a quelli associabili ai farmaci antidepressivi. E numerose ricerche hanno dimostrato che l’attività fisica associata alle comuni terapie produce risultati migliori rispetto a qualsiasi terapia condotta isolatamente.
Ma c’è anche un altro aspetto su cui noi runner siamo avvantaggiati. La corsa regolare incoraggia e contribuisce a imprimere modi diversi di pensare e di comportarsi. Si è scoperto che queste forme di approccio alla mente e al corpo sono strettamente connesse agli interventi più comuni per la depressione e l’ansia, come la psicoterapia, la terapia cognitivo-comportamentale, le relazioni sociali forti e la cura di se stessi. In questo caso, il nostro vantaggio è duplice: primo, correndo pratichiamo già alcune di queste tecniche e ne sfruttiamo, quindi, anche i benefici. Secondo, avendo già una certa familiarità con varie forme di trattamento, le probabilità di successo sono maggiori se ci affidiamo all’aiuto di uno specialista.
Per questo ho organizzato il contenuto di questo libro come segue.
Partiremo da una panoramica dettagliata dei modi in cui la corsa influisce sui meccanismi cerebrali, poi vedremo perché giova alle persone con disturbi ansioso-depressivi sul lungo termine e infine cosa si nasconde dietro ai progressivi miglioramenti dell’umore che rappresentano la vera carta vincente della corsa.
Poi, andremo a esplorare le connessioni tra la corsa e le varie forme di terapia per la depressione e l’ansia. Per fare tutto questo, incontreremo diverse persone che, come me, hanno riscontrato nella corsa effetti straordinariamente positivi sulla propria salute mentale. Ci rivolgeremo anche a esperti di varie discipline, molti dei quali runner a loro volta, per farci svelare i meccanismi che possono spiegare la mia esperienza e quella di moltissimi altri runner. Daremo anche uno sguardo a un discreto numero di ricerche sugli argomenti principali affrontati in questo libro (un numero tra parentesi accanto a ogni ricerca citata rimanderà alle ultime pagine del libro, dove potrai trovare titolo e fonte di ognuno per eventuali approfondimenti online).
Non voglio dare l’impressione che correre possa risolvere ogni tipo di problema. Non sarò mai il genere di guru che dà spettacolo per le strade (salvo quando faccio sbellicare i miei vicini con i miei esercizi di allenamento). Quello che la corsa ha fatto per me per quasi quarant’anni, e che spero continui a fare per il resto della mia vita, è stato aiutarmi a esprimere il mio lato migliore. Disponibile anziché sprezzante, appassionato anziché distrutto dal proprio lavoro, ottimista anziché terrorizzato per il futuro.
Il tempo che dedico alla corsa è una medicina potente non solo mentre corro, ma per tutto il resto della mia giornata. Se questo libro saprà aiutarti a comprendere e ad apprezzare un po’ di più il ruolo della corsa nel tuo benessere mentale, sarà stato tempo ben speso per entrambi.