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Ascesa e declino delle diete più popolari; come diventano planetarie e come perdono il loro fascino

Dalle diete ipolipidiche fino alla Atkins e molte altre ancora, le diete prive di solidi presupposti scientifici sono un esperimento globale e fuori controllo che può portare a pessimi risultati, secondo l’opinione di Richard Smith, presidente di Patients Know Best e già editor del British Medical Journal, su cui è apparso questo articolo del 15 dicembre 2014:

POSSIAMO DEFINIRE ALCUNE DIETE “STERMINI DI MASSA”?
(Source: “Are some diets mass murder?”, BMJ 2014;349:g7654) 

Ecco la traduzione integrale, espressamente autorizzata per la pubblicazione su questo blog. Ogni riproduzione ad altri fini è vietata e va richiesta direttamente all’editore. Il traduttore è completamente responsabile del testo tradotto e BMJ declina ogni responsabilità su eventuali errori (Publication with permission from the BMJ Publishing Group. the translation is the responsibility of the translator and the BMJ cannot be held responsible for any errors).

Nel 1965, con il linguaggio colorito che ha spesso caratterizzato le discussioni sull’alimentazione, uno dei grandi della scienza della nutrizione, Jean Mayer, disse che prescrivere una dieta povera di carboidrati è “come prescrivere uno sterminio di massa”(1). Dopo essermi immerso, per poter scrivere questo articolo, nella lettura di cinque libri sulle diete e di alcuni tra gli studi fondamentali sull’argomento, ho l’impressione che la stessa accusa di “omicidio di massa” potrebbe essere rivolta a molti di quelli che giocano qualche ruolo nel grande gioco delle diete. Stiamo parlando, in sostanza, di politiche avventate e prive di sufficienti basi scientifiche, le cui conseguenze a lungo termine possono essere disastrose. (2-6) È difficile, da un punto di vista scientifico, attribuire le malattie o la mortalità al regime alimentare. All’inizio è stato possibile fare alcune associazioni attraverso studi osservazionali, ma rilevare con esattezza ciò che la gente mangia non è facile. Ci alimentiamo in modo molto disomogeneo, e la nostra alimentazione può cambiare nel tempo; per questo non si può pensare di tradurre la nostra dieta in termini di grassi, carboidrati, proteine e simili. E per la stessa ragione è inevitabilmente difficile trovare delle relazioni tra una dieta rilevata per un breve periodo e le patologie o i decessi registrati magari a decenni di distanza.
Poco attendibili sono anche gli studi sperimentali; a differenza degli studi sui farmaci (dove l’unica variabile è assumerli o meno), gli studi sulla dieta includono più di una variabile. Una dieta a basso contenuto di grassi, ad esempio, significa probabilmente un maggiore apporto di carboidrati per garantire sufficiente energia. Se fare osservare le prescrizioni è un grande problema negli studi sui farmaci, lo è ancora di più in quelli sull’alimentazione, dal momento che è sempre difficile attenersi a una dieta poco familiare. In più, questi studi hanno breve durata e raramente hanno esiti importanti come disturbi cardiovascolari o decessi.
John Ioannidis, il fustigatore delle pseudoscienze biomediche, ha dimostrato l’inattendibilità di molti studi che mettono in relazione l’alimentazione con le malattie o la mortalità (7), e forse, quando isoliamo i singoli componenti in gioco, sia che si tratti di grassi totali, grassi saturi, insaturi, zuccheri o sale, non ci rendiamo perfettamente conto della complessità dei rapporti che legano dieta e patologie.

The big fat surprise

Tra i migliori libri che ho letto per preparare questo articolo c’è The Big Fat Surprisedi Nina Teicholz, il cui sottotitolo è “Perché burro, carne e formaggio fanno parte di una dieta sana” (3). Titolo, sottotitolo e copertina del libro sono dissacranti, ma la demolizione quasi forense delle teorie sui rischi cardiovascolari dei grassi saturi è notevole. Certo, è davvero inquietante il modo in cui il libro ci spiega come scienziati super entusiasti, pseudoscienza, enormi conflitti d’interesse e manovratori di opinione pubblica manovrati a loro volta dalla politica possano fare errori decisamente pericolosi. Mi ci sono voluti 40 anni per rendermi conto di ciò che avrei dovuto sempre sapere e cioè che la scienza è un’attività umana che include gli errori, l’autoinganno, la megalomania, il pregiudizio, l’interesse personale, la crudeltà, l’imbroglio e la frode propri a qualsiasi attività umana (incluse alcune forme di santità), ma questo libro mi ha sconvolto.

La Teicholz inizia la sua analisi facendo notare che gli Inuit, i Masai e i Samburu dell’Uganda seguivano originariamente tutti una dieta composta dal 60-80% di grassi e non erano obesi né soffrivano di ipertensione o problemi cardiaci.

L’ipotesi che il consumo di grassi saturi sia la principale causa nutrizionale delle malattie cardiovascolari è strettamente legata a un uomo, Ancel Benjamin Keys, biologo all’Università del Minnesota. Si trattava di un personaggio notevole, ottimo navigatore, descritto dal suo collega Henry Blackburn (che ho avuto il privilegio di conoscere) come “una mente dotata di intelligenza brillante” ma anche “diretto fino a risultare spietato, e critico fino a essere tagliente”.(8)

Keys presentò la sua “teoria della dieta del cuore” in occasione di un congresso a New York nel 1952, nel periodo di maggiore incidenza di malattie cardiache negli Stati Uniti, mostrando, con i suoi studi condotti su uomini di sei diversi paesi (Giappone, Italia, Inghilterra e Scozia, Australia, Canada e Stati Uniti), la stretta correlazione tra i decessi dovuti alle malattie cardiache e la percentuale di grassi assunti con la dieta (9). Bisogna dire che gli studi di Keys avevano coinvolto una popolazione ridotta e che i metodi di misurazione a sua disposizione non erano molto attendibili; inoltre, nel caso dei giapponesi e degli italiani, le rilevazioni erano state effettuate subito dopo la seconda guerra mondiale, periodo di grandi ristrettezze alimentari. Keys avrebbe potuto raccogliere dati da molti più paesi e su un campione più numeroso (includendo nello studio anche le donne), e usare procedure più accurate, ma, fa notare la Teicholz, arrivò alle conclusioni che cercava. Anche una successiva ricerca condotta da altri scienziati di 22 paesi trovò una qualche correlazione tra il tasso di decessi dovuti a malattie cardiache e il consumo di grassi, e gli autori suggerirono di prendere in considerazione altre cause, come il fumo e il consumo di zucchero. (10)

Grasso contro zucchero

In occasione di un congresso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1955, la teoria di Keys venne accolta con forti critiche, ma in tutta risposta lo studioso ideò l’autorevole “Studio dei sette paesi”, che venne pubblicato nel 1970 e che mostrava la stretta relazione tra i grassi saturi (Keys aveva nel frattempo spostato la sua attenzione dai grassi in generale ai grassi saturi) e la mortalità dovuta a malattie cardiache (11). Stavolta evitò di prendere come campione i paesi in cui la correlazione non era evidente (ad esempio la Francia, la Germania e la Svizzera), e a Creta e Corfù prese in esame soltanto nove individui. La critica fece notare che nonostante esistesse una relazione tra i paesi, non ce n’era alcuna all’interno dei paesi stessi né con il tasso generale di mortalità. Inoltre, anche se la ricerca aveva coinvolto 12.770 individui, soltanto per il 3,9% di questi era stato registrato il cibo assunto e alcune delle ricerche condotte in Grecia si erano svolte durante la quaresima, periodo in cui la Chiesa Ortodossa Greca proibisce di mangiare prodotti animali. Uno studio di controllo pubblicato da Keys nel 1984 mostrò che le variazioni nel consumo di grassi saturi non erano in grado di spiegare le variazioni di mortalità legata alle malattie cardiache (12).

Un’analisi dei dati contenuti nello Studio dei sette paesi, condotta nel 1999, dimostrò che i decessi da malattia cardiaca avevano una relazione più stretta con il consumo di dolciumi, piuttosto che di carne e prodotti animali (13). Il londinese John Yudkin aveva sin dagli anni ’50 avanzato l’ipotesi che lo zucchero avesse un ruolo più determinante rispetto ai grassi nel causare malattie al cuore (4), ma Keys aveva respinto quest’idea, giudicandola “una montagna di insensatezza” e “una vecchia canzone”. Erano molti gli scienziati scettici sull’ipotesi dei grassi saturi, ma la convinzione che fosse invece fondata fece presa sulla comunità scientifica, sull’opinione pubblica e sulla stampa americana e così le critiche vennero sistematicamente messe a tacere, tenuto conto anche della difficoltà di reperire fondi per confutare la teoria con nuove ricerche.
Per verificare la teoria dei grassi, vennero condotti una serie di studi sperimentali, ma si trattava di studi di piccola entità e di breve durata, che presentavano inoltre il problema di modificare più di una variabile per volta. Il Lancet, in un editoriale del 1974, scrisse che questi studi portarono a ben poche conclusioni (14). La cosa certa è che non offrirono solide giustificazioni alla teoria dei grassi saturi.
Fu un rapporto dell’American Heart Association del 1961 a raccomandare per primo di sostituire i grassi saturi con i polinsaturi (olio di mais o di soia) (15), mentre un successivo rapporto datato 1970 suggeriva di ridurre il consumo dei grassi totali. In quello stesso periodo, E.H. Ahrens, un ricercatore di New York esperto di lipidi e convinto che i carboidrati avessero responsabilità maggiori rispetto ai grassi nelle malattie cardiache, obiettò che una conversione di massa a una dieta povera di grassi avrebbe potuto provocare un incremento di casi di obesità e di malattie croniche.

La Teicholz spiega come la teoria dei grassi abbia portato a un cambiamento generalizzato della dieta negli Stati Uniti e, in seguito, a livello internazionale, attraverso un’operazione politica (3). Nick Mottern, uno dei membri dello staff del congresso, scrisse un rapporto in cui raccomandava di ridurre dal 40 % al 30% l’apporto di energia proveniente dai grassi, di cui meno del 10% saturi, e di aumentare l’assunzione di carboidrati fino al 55-60%. Queste raccomandazioni finirono nel Dietary Guidelines for American, pubblicato per la prima volta nel 1980 (16). (Stranamente, una delle raccomandazioni di Mottern, quella di ridurre il consumo di zucchero, si perse strada facendo.)

Il potere delle lobbies

Era prevedibile che le potenti lobbies americane della carne e dei latticini si sarebbero opposte a queste linee guida, e infatti lo fecero, ma non riuscirono a contrastare la grande industria alimentare (come General Foods, Quaker Oats, Heinz, The National Biscuit Company o Corn Products Refining Corporation), più potente e più scaltra. Nel 1941 questa aveva costituito la Nutrition Foundation, che stringeva collaborazioni con gli scienziati e finanziava conferenze e ricerche, prima che esistessero fondi pubblici destinati alla ricerca sulla nutrizione.

Benché messa continuamente in dubbio, l’idea che i grassi saturi fossero una causa importante delle malattie cardiovascolari e che la dieta dovesse contenerne in quantità ridotta venne, ed è ancora, globalmente condivisa.

Lo studio più vasto mai fatto sulla teoria dei grassi saturi si deve a una iniziativa di Women’s Health, che coinvolse 49.000 donne in post-menopausa in una ricerca randomizzata sulla dieta ipolipidica e costò 725 milioni di dollari (460 milioni di sterline, 580 milioni di euro) (17). Le donne furono seguite per dieci anni e quelle sottoposte al regime ipolipidico completarono con successo la riduzione del loro consumo di grassi totali dal 37% al 29% e quello dei grassi saturi dal 12,4% al 9,5% dell’apporto energetico. Ma non venne registrata alcuna riduzione delle malattie cardiache o degli infarti, né una diminuzione di peso superiore al gruppo di controllo.

Nel 2008, una nota redatta dalla Food and Agricolture Organization affermò che “non esiste nessuna evidenza verosimile o indiscutibile” che una dieta a elevato contenuto di grassi causi malattie cardiache (18). Un rapporto Cochrane su 24 confronti eseguiti su 65.508 partecipanti non trovò benefici nella riduzione dei grassi totali e nessuna incidenza sulla mortalità legata alle malattie cardiache o ad altre cause, ma una lieve riduzione degli episodi cardiovascolari negli uomini (con una percentuale di rischio relativo pari allo 0,86, in presenza del 95% dei valori compresi tra 0,77 e 0,96), ma non nelle donne (19).

Rendendosi conto che la teoria dei grassi era in declino, alcuni scienziati, e in modo particolare Walter Willet, docente di epidemiologia ad Harvard (che anche in questo caso ho conosciuto personalmente), iniziò a promuovere la dieta mediterranea, che si presenta sotto forme differenti ma che consiste essenzialmente in molta frutta, verdura, pane e cereali (inclusi pasta e couscous), poca carne e pochi latticini e olio di oliva in abbondanza. Questo regime alimentare è decisamente più facile da seguire rispetto a quello ipolipidico, e una combinazione di interessi privati, inclusi quelli dell’International Olive Council e della compagnia di pubbliche relazioni Oldways, che si è occupata di promuovere la dieta, insieme al naturale potere seduttivo delle regioni mediterranee, l’hanno resa popolare. I fondamenti scientifici alla sua base, tuttavia, sono scarsi, come dimostra un altro rapporto Cochrane (20), e alcune di queste evidenze provengono da R.B. Singh, la cui ricerca è sospetta (21).

Ascesa e declino dei grassi idrogenati

I grassi saturi come il lardo, il burro e lo strutto, solidi a temperatura ambiente, sono stati usati per secoli per la preparazione di biscotti, dolci e molto altro, ma nel momento in cui vennero considerati assolutamente inaccettabili, si rese necessario trovare un surrogato. Questo surrogato fu individuato nei grassi idrogenati, grassi non presenti in natura, fatta eccezione per alcuni ruminanti, che dagli anni ’80 in poi sono stati largamente usati e sono ancora presenti nel nostro organismo. Molti erano i dubbi sui grassi idrogenati fin dall’inizio (22), ma la Teicholz ci illustra come siano state efficaci le industrie alimentari nel contrastare qualsiasi ricerca mettesse in luce i rischi legati a questo prodotto. Fu una ricerca tedesca pubblicata nel 1990 a contrassegnare l’inizio del declino di questo prodotto, dimostrando che una dieta ricca di grassi idrogenati conduceva non solo a un aumento del colesterolo LDL (Low Density Lipoprotein) ma anche di quello HDL (High Density Lipoprotein) (23). Ottenne lo stesso risultato Willet (quello della dieta mediterranea) negli Stati Uniti quando disse “Stiamo davvero conducendo un enorme, incontrollato e incontrollabile esperimento umano su scala nazionale” (24).

Nel 2003 la Food and Drug Administration impose l’obbligo di riportare sulle etichette la presenza di grassi trans e, nel 2014, li vietò del tutto. L’obbligo di etichettatura aveva già segnato la loro fine, e quando la FDA introdusse questa normativa, qualcosa come 42.720 prodotti alimentari contenevano grassi trans negli Stati Uniti. L’impossibilità di tornare ai grassi saturi (dal momento che la convinzione che siano nocivi è profondamente radicata in noi e continua a essere sostenuta dall’American Heart Association) portò l’industria alimentare a trovare un nuovo surrogato, i grassi esterificati, che si rivelarono altrettanto nocivi dei grassi trans. Di nuovo un esperimento di massa senza controllo.

Un’altra delle conseguenze della teoria dei grassi è stata che in tutto il mondo è aumentato il consumo di carboidrati, compresi zucchero e sciroppo di mais, economici, estremamente dolci e “fonte di calorie ma non di nutrienti” (2,5,25).

Moltissimi scienziati ritengono che sia l’eccesso di carboidrati raffinati a condurci verso la pandemia globale dell’obesità, del diabete e delle malattie non trasmissibili (2,5,25-27). Essi contestano l’idea che si ingrassa semplicemente perché la quantità di energia introdotta è superiore a quella consumata, sostenendo invece che i carboidrati “innescano una risposta ormonale che dirotta il carburante destinato al consumo verso il suo accumulo sotto forma di grasso” (26). Questa teoria dimostrerebbe che alcune persone indigenti sono grasse (caso frequente in molte comunità) non a causa dell’iperalimentazione o della pigrizia ma perché si nutrono di cibi ad alto contenuto di carboidrati raffinati, la fonte di energia più a buon mercato, che li predispone all’obesità (1).

Atkins e Ornish

Sull’onda di queste idee si arrivò alla dieta propugnata dal medico americano Robert Atkins, che ridusse in modo drastico i carboidrati, permettendo di contro un consumo illimitato di proteine e grassi. Questa dieta, ampiamente raccomandata dalla comunità dei medici fino agli anni ’50 del novecento (1,28), ebbe origine dalla riscoperta di quella lanciata nel 1864 da William Baunting, un imprenditore di Londra, nel suo best-seller Letter on CorpulenceLa dieta venne testata nello studio “A to Z Weight Loss” su 311 donne obese o sovrappeso in età di pre-menopausa, seguite nel corso di un anno in comparazione con altre tre diete, inclusa quella proposta da Dean Ornish, un altro medico americano, che prevedeva una percentuale di assunzione di grassi saturi inferiore al 10% del bilancio energetico (29,30). Le donne che avevano seguito la dieta Atkins persero più peso e “ottennero migliori effetti positivi generali sul metabolismo”, come un abbassamento della pressione diastolica pari a 4,4 mm Hg, contro i 2,1 mm Hg delle donne che avevano seguito la dieta Ornish (30).

Leggere questi libri e consultare alcuni degli studi originali è stata un’esperienza che mi ha fatto riflettere. Il tentativo (riuscito) di ridurre la quantità di grassi nella dieta degli americani e di altre popolazioni del pianeta è stato un esperimento globale e senza controllo, che, come ogni esperimento, può ben portare a risultati negativi. Quel che è peggio, ha avviato una serie di successivi esperimenti globali incontrollati, tutt’ora in corso. La Teicholz ha fatto un lavoro notevole nell’analizzare il modo in cui la carenza di basi scientifiche, le personalità carismatiche, gli interessi personali e l’opportunismo politico hanno contribuito ad avviare questa serie di esperimenti (3). L’autrice cita Nancy Harmon Jenkins, che ha scritto il libro Mediterranean Diet Cookbook ed è tra i fondatori della Oldways, quando dice: “Il mondo del cibo è una preda privilegiata del mondo dei consumi, perché è enorme la quantità di denaro che può fruttare; per questo molto dipende da come se ne parla e soprattutto dalle opinioni degli esperti” (31).

È davvero tempo che tra gli esperti si faccia uso di scienza più seria e di umiltà.

Traduzione integrale di Silvia Di Profio, 2015

1  Mayer J. Quoted in Taubes G. Why we get fat and what to do about it. Anchor, 2011:161.

2 Taubes G. Why we get fat and what to do about it. Anchor, 2011.

3 Teicholz N. The big fat surprise. Scribe, 2014.

4 Yudkin J. Pure, white and deadly. Penguin, 2012. (First published 1972)

5 Lustig R. Fat chance: the hidden truth about sugar, obesity, and disease. Fourth Estate, 2014.

6 Boseley S. The shape we’re in: how junk food and diets are shortening our lives. Guardian, 2014.

7 Ioannidis JPA. Implausible results in human nutrition research. BMJ 2013;347:f6698.

8 Blackburn H. Quoted in: Teicholz N. The big fat surprise. Scribe, 2014:20.

9 Keys A. Atherosclerosis: a problem in newer public health. J Mt Sinai Hosp N Y

1953;20:118-34.

10 Yerushalmy J, Hilleboe HE. Fat in the diet and mortality from heart disease. N Y State J Med 1957;57:2343-54.

11 Keys A (ed). Coronary heart disease in seven countries. Circulation 1970;41(4 suppl I):1-200.12 Keys A, Menotti A, Aravanis C, Blackburn H, Diordevic BS, Buzina R, et al. The Seven Countries Study: 2289 deaths in 15 years. Prev Med 1984;13:141-54.

13 Menotti AI, Kromhout D, Blackburn H, Fidanza F, Buzina R, Nissinen A. Food intake patterns and 25-year mortality from coronary heart disease: cross-cultural correlations in the Seven Countries Study. The Seven Countries Study Research Group. Eur J Epidemiol 1999;15:507-15.

14 Lancet. Quoted in: Teicholz N. The big fat surprise. Scribe, 2014:100.

15 Page IH, Allen EB, Chamberlain FL, Keys A, Stamler J, Stare FJ. Dietary fat and its relation to heart attacks and strokes. Circulation 1961;23:133-6.

16 Office of Disease Prevention and Health Promotion. Dietary guidelines for Americans. US Department of Health and Human Services, 1980.

17 Howard BV, Van Horn L, Hsia J, Manson JE, Stefanick ML, Wassertheil-Smoller S, et al. Low-fat dietary pattern and risk of cardiovascular disease: the Women’s Health Initiative Randomized Controlled Dietary Modification Trial. JAMA 2006;295:655-66.

18 Food and Agriculture Organization of the United Nations. Fats and fatty acids in human nutrition: report of an expert consultation. 2010.

19 Hooper L, Summerbell CD, Thompson R, Sills D, Roberts FG, Moore HJ, et al. Reduced or modified dietary fat for preventing cardiovascular disease. Cochrane Database Syst Rev 2012:5:CD002137.pub3.

20 Rees K, Hartley L, Flowers N, Clarke A, Hooper L, Thorogood M, et al. “Mediterranean” dietary pattern for the primary prevention of cardiovascular disease. Cochrane Database Syst Rev 2013;8: D009825.pub2.

21 White C. Suspected research fraud: difficulties of getting at the truth. BMJ 2005;331:281-8.

22 Johnston PV, Johnson OC, Kummerow FA. Occurrence of trans fatty acids in human tissue. Science 1957;126:698-9.

23 Mensink RP, Katan MB. Effect of dietary trans fatty acids on high-density and low-density lipoprotein cholesterol levels in healthy subjects. N Engl J Med 1990;323:439-45.

24 Willett W. Quoted in Teicholz N. The big fat surprise. Scribe, 2014:265.

25 Lustig R. Quoted in Smith R. Three myths blocking progress against NCD. http://blogs.bmj.com/bmj/2014/07/16/richard-smith-three-myths-blocking-progress-against-ncd.

26 Taubes G. The science of obesity: what do we really know about what makes us fat? An essay by Gary Taubes. BMJ 2013:346:f1050.

27 Astrup A, Dyerberg J, Elwood P, Hermansen K, Hu FB, Jakobsen MU, et al. The role of reducing intakes of saturated fat in the prevention of cardiovascular disease: where does the evidence stand in 2010? Am J Clin Nutr 2011;93:684-8.

28 Banting W. Letter on corpulence, addressed to the public. Harrison, 1864. https://archive.org/details/letteroncorpulen00bant.

29 Ornish D. Everyday cooking with Dr Dean Ornish: 150 easy, low-fat, high-flavor recipes. Harper Collins, 1996. www.amazon.com/Everyday-Cooking-With-Dean-Ornish/dp/0060173149.

30 Gardner CD, Kiazand A, Alhassan S, Kim S, Stafford RS, Balise RR, et al. Comparison of the Atkins, Zone, Ornish, and LEARN diets for change in weight and related risk factors among overweight premenopausal women: the A TO Z Weight Loss Study: a randomized trial. JAMA 2007;297:969-77

31 Jenkins NH. Quoted in Teicholz N. The big fat surprise. Scribe, 2014:197.